Storie d’Impatto – RPE srl
Intervista a Florinda Ravazzani, HR Director & CDA in RPE srl
Quali sono gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) più identificativi per RPE?
Il nostro percorso di sostenibilità è iniziato con le certificazioni ISO 45.001 (salute e sicurezza sul lavoro) e 14.001 (sistemi di gestione ambientale).
Come azienda produttrice di elettrovalvole abbiamo un processo integrato che parte dalla materia prima, il granolo plastico e il filo di rame, e ci siamo concentrati per prima cosa sull’integrare gli aspetti di sicurezza e ambiente nel nostro sistema produttivo.
In un futuro prossimo vogliamo definire in modo sempre più preciso l’impatto del nostro prodotto sull’ambiente e arrivare al bilancio di sostenibilità, anche con la valutazione della carbon neutrality sul prodotto elettrovalvola.
Insieme a questo, l’altra nostra priorità è la riduzione dei rischi per i lavoratori, che ci vede già concentrati – e sempre più in futuro – sugli aspetti di salute e benessere dei nostri dipendenti.
Quali sono le attività e le iniziative che avete in programma per raggiungere questi obiettivi?
Abbiamo iniziato dall’integrazione del sistema, valutando una serie di ottimizzazioni del processo di produzione. Poniamo attenzione alla trasformazione della plastica e al riciclo della materia prima direttamente in circolo, attraverso la riduzione degli sfridi e uno smaltimento mirato degli scarti di produzione: in questo modo riduciamo il consumo di materia plastica.
Questa attenzione viene posta anche in fase di progettazione: in quanto azienda certificata MOCA, che usa materiali adatti alla filiera alimentare, dobbiamo valutare quei materiali da un punto di vista di sostenibilità e questo non è sempre un processo semplice, perché il prodotto sostenibile non sempre soddisfa anche le specifiche tecniche necessarie.
Quali sono i risultati di questi processi che devono tenere conto da una parte del tema della sostenibilità ambientale e, dall’altro, possono avere delle ripercussioni in termini economici sull’azienda?
Il materiale che noi riusciamo a risparmiare, riusandolo direttamente in linea, ha un impatto ambientale diretto e, allo stesso tempo, genera un vantaggio a livello economico perché consente l’acquisto di una quantità minore di materia prima. Inoltre, c’è la questione del processo di smaltimento degli scarti che, se non vengono re-immessi nel ciclo produttivo, devono essere trattati come “prodotto speciale”, con i costi correlati. Il vantaggio economico è, a dire il vero, piuttosto ridotto al momento, ma comunque valutabile.
Qual è invece l’impatto di questi nuovi processi sulle persone che lavorano dentro RPE?
Un obiettivo definito nel percorso di certificazione che abbiamo appena terminato è stato proprio quello di aumentare la consapevolezza aziendale, cioè di tutti i singoli dipendenti, in ambito di sicurezza e ambiente.
Una maggiore sicurezza, è chiaro, permette di lavorare in un luogo con meno pericoli e, soprattutto, con un benessere maggiore. Dal punto di vista della sostenibilità, invece, non tutti sanno quali sono le conseguenze di un processo produttivo e dei costi correlati a uno smaltimento sbagliato degli scarti: vorremmo quindi aumentare la consapevolezza del dipendente e farci aiutare a ottimizzare i flussi interni, in termini di una maggiore attenzione all’impatto ambientale.
Vi state già immaginando modalità per coinvolgerli, per avere da loro delle indicazioni?
Stiamo immaginando dei percorsi di formazione a doppio senso, che prevedano sia un’informazione verso il dipendente, ma anche dei momenti di incontro in cui le persone possano segnalare le loro esigenze e le loro idee in merito a sicurezza e ambiente.
Il coinvolgimento e l’ascolto dei dipendenti, soprattutto quando sono più di 150 come nel caso di RPE, non deve essere facile…
Non è certamente facile gestire l’informazione e la formazione, anche in termini di raccolta delle indicazioni che arrivano dalle persone. Quello che stiamo cercando di fare, insieme al mio team, è quello di creare dei momenti ad hoc, per esempio legati alla segnalazione di near miss, cioè situazioni di potenziale pericolo, per infortuni o per l’ambiente, in modo tale che l’azienda possa intervenire tempestivamente trovando il modo di evitarlo.
La sfida di quest’anno sarà provare a innescare un circolo virtuoso, che porti i nostri dipendenti a sentirsi parte attiva di questo processo di reciprocità a vantaggio di tutti: siamo solo all’inizio ma abbiamo già diversi riscontri positivi.
Vi state immaginando di valorizzare questi percorsi anche in termini di marketing?
Dal mio punto di vista le certificazioni sono sempre materiale da valorizzare: la sfida maggiore è riuscire a costruire un dialogo efficace, oltre che all’esterno, anche verso l’interno, cosa spesso più difficile.
In termini di mercato, quando ci si rivolge a imprese di una certa dimensione questi aspetti sono già rilevanti: in RPE soddisfiamo già diverse condizioni che, anche se non ancora obbligatorie da un punto di vista normativo, presto lo diventeranno per tutti. Ci siamo portati avanti, ecco!
Perché avete scelto di entrare in C.NEXT e che ricadute vi aspettate da questa collaborazione?
Per RPE, C.NEXT è un potenziale partner sotto tantissimi punti di vista, sia di prodotto che di processo: lo considero una finestra sempre aperta sull’innovazione, una fonte di spunto per il nostro ciclo produttivo e i nostri processi.
Quindi, per esempio, immagino la produzione di nuovi materiali, prodotti o strumenti che ci possano essere utili, magari anche in chiave di sostenibilità.
Con una produzione quasi completamente automatizzata per noi è fondamentale rimanere dentro le nuove logiche d’impresa, comprendere i nuovi trend tecnologici, aggiornarsi sull’evoluzione dell’Industria 4.0 (che già abbiamo adottato): sono convinta che C.NEXT possa essere veramente fonte di stimolo e di sviluppo futuro.